Elisoccorso alpino: solo il 10 % dei soccorsi è davvero critico
- 28 giu
- Tempo di lettura: 4 min
Oggi la sfida è distinguere ciò che è urgente da ciò che non lo è.
Ogni estate, milioni di persone salgono oltre i 2.500 metri nelle Alpi per vivere l'emozione della montagna. Ma quando qualcosa va storto, chi deve pagare il conto? E soprattutto: vale la pena rischiare la vita dei soccorritori per chi ha scelto consapevolmente di affrontare la montagna?
Un recente studio pubblicato sul Scandinavian Journal of Trauma, Resuscitation and Emergency Medicine ha analizzato oltre 3.500 missioni di soccorso elicotteristico in Svizzera, rivelando dati sorprendenti che riaccendono il dibattito su uno dei temi più controversi della medicina d'emergenza moderna.
La ricerca mostra che circa 40 milioni di turisti visitano annualmente altitudini superiori ai 2.500 metri nelle Alpi. Di questi, una percentuale crescente finisce per richiedere l'intervento dell'elisoccorso. Ma ecco il dato che fa riflettere: solo 1 persona su 10 tra quelle soccorse è realmente in pericolo di vita.
La scala NACA: misurare la gravità in montagna
Per comprendere la portata del fenomeno, è necessario familiarizzare con la scala NACA (National Advisory Committee for Aeronautics), sistema universalmente utilizzato per classificare la gravità dei pazienti nel soccorso pre-ospedaliero. La scala va da 0 (persona non ferita) a 7 (deceduto durante l'intervento), dove i punteggi 4-6 identificano pazienti in serio pericolo di vita che richiedono interventi medici avanzati immediati.

L'anatomia del soccorso alpino: numeri che sorprendono
L'analisi delle 3.564 missioni condotte dalla Swiss Air Ambulance tra il 2011 e il 2021 rivela un panorama epidemiologico inaspettato. Il 66,8% dei soccorsi riguarda uomini adulti, prevalentemente impegnati in attività estive. Ma è la distribuzione della gravità a stupire: l'88,1% dei pazienti presenta lesioni minori o risulta completamente illeso (NACA 0-3), mentre solo il 9,4% versa in condizioni critiche (NACA 4-6).
Il dato più significativo riguarda le missioni con verricello: il 35,3% del totale, con i pazienti non feriti che rappresentano quasi il 20% di questi interventi complessi. Questo pattern evidenzia come molte operazioni abbiano carattere preventivo piuttosto che salvavita.
Lo studio identifica tre fattori che influenzano significativamente i tempi operativi: la gravità del paziente (scala NACA), l'utilizzo del verricello e, sorprendentemente, la stagionalità dei traumi. I pazienti traumatizzati in estate richiedono tempi di permanenza sulla scena significativamente maggiori (da 38,2 a 46 minuti), probabilmente per la maggiore complessità degli interventi possibili in condizioni di migliore accessibilità.
Il paradosso della medicina preventiva
Gli autori definiscono molte di queste missioni come aventi "carattere preventivo": prevengono il deterioramento dovuto all'esposizione ambientale, ipotermia, esaurimento o incidenti secondari. Ma questo approccio solleva interrogativi profondi.
Il rischio di incidenti per gli equipaggi HEMS è documentatamente superiore rispetto ai servizi terrestri [2], un elemento che deve essere considerato ogni volta che si decide un intervento elicotteristico. Emerge così un paradosso etico: è accettabile esporre i soccorritori a rischi per evacuare persone che hanno volontariamente scelto attività ad alto rischio?
L'evoluzione temporale mostra una tendenza preoccupante: un aumento significativo di missioni per pazienti con lesioni minori, riflettendo quello che alcuni ricercatori definiscono il passaggio dalla "life-saving medicine" alla "comfort medicine". Questo trend può portare a maggiore insoddisfazione e noia (boreout) tra il personale HEMS e solleva questioni sulla sostenibilità del sistema.
Verso un nuovo equilibrio: responsabilità condivisa
La sfida non è eliminare il soccorso in montagna - universalmente riconosciuto come diritto fondamentale - ma ottimizzare i protocolli operativi. Gli autori propongono strategie innovative: espandere il ruolo dei servizi di soccorso non medico, introdurre livelli di risposta intermedi, raffinare i protocolli di triage considerando non solo la gravità clinica ma anche il rischio ambientale.
Il 9% di pazienti gravemente feriti giustifica pienamente l'esistenza di servizi HEMS specializzati. La questione è come preservare queste risorse critiche per chi ne ha realmente bisogno, sviluppando al contempo alternative sicure per situazioni meno critiche.
Oltre la polemica: verso una montagna più sicura e responsabile
La ricerca svizzera non fornisce risposte definitive ma offre dati per un dibattito più maturo. La montagna continuerà ad attrarre milioni di persone, e il diritto al soccorso rimane inviolabile. Tuttavia, i numeri suggeriscono la necessità di un nuovo patto tra frequentatori della montagna, soccorritori e società.
Forse la vera sfida non è decidere se soccorrere, ma come farlo in modo più intelligente: investendo in prevenzione, educazione e tecnologie che riducano la necessità di interventi rischiosi, preservando le risorse più preziose - equipaggi e mezzi specializzati - per chi ne ha disperatamente bisogno.
La montagna insegna che ogni scelta ha conseguenze. È tempo che questa lezione si applichi anche al modo in cui concepiamo il soccorso alpino del futuro.
Un futuro più efficiente è possibile!
Oggi, distinguere tra urgenze reali e situazioni evitabili è una delle sfide più complesse dell’elisoccorso. l'AI e strumenti come EMSy, già utilizzati in ambito preospedaliero, nascono proprio con l’obiettivo di supportare il personale sanitario nei momenti più critici.
Un aiuto in più per prendere decisioni migliori, dove ogni secondo conta.
Bibliografia
Klocker E, et al. High-altitude HEMS missions—a retrospective analysis of 3,564 air rescue missions conducted between 2011 and 2021. Scand J Trauma Resusc Emerg Med. 2025;33:97.
Bledsoe BE, Smith MG. Medical helicopter accidents in the United States: a 10-year review. J Trauma. 2004;56(6):1325-8.
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